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L’anniversario è prima di tutto un romanzo di liberazione, che sovverte e smaschera il totalitarismo della famiglia. Ferisce con la sua brutale onestà, disarma con un candore spiazzante e ci mette a nudo davanti a una verità ineludibile. È come il primo schiaffo ricevuto alla nascita: grazie a quel dolore impariamo a respirare.
«Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l’ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente. Ho eretto un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.»
Si può davvero abbandonare il proprio padre e la propria madre? Si può chiudere la porta alle spalle, scendere le scale e decidere di non vederli mai più? È possibile spezzare il legame originario, liberandosi dalla sua morsa?
Dopo un decennio trascorso lontano da una violenza sottile ma inesorabile tra le mura domestiche, un figlio trova finalmente il coraggio di raccontare la sua famiglia disgraziata. Non per accusare né per salvare, ma per mettere a nudo una verità scomoda. Emmanuel Carrère descrive questo libro come “scandalosamente calmo”, sottolineandone la forza devastante.
La narrazione si concentra su una figura femminile struggente: una madre che ha sacrificato tutto pur di essere qualcosa agli occhi del marito, un uomo che tiene lei e i figli prigionieri di un regime familiare soffocante, dove possesso e amore si fondono in un unico nodo opprimente.
In questo microcosmo chiuso, il silenzio viene rotto solo dal trillo di un telefono indesiderato, dalla presenza fugace di compagni di scuola o dall’amica della madre, presto allontanata come una minaccia.
Ma proprio in questo ambiente claustrofobico si insinua nel figlio, e nei lettori, un irrefrenabile desiderio di rinascita: la voglia di essere sé stessi, di vivere senza paura di ritorsioni, di aprirsi finalmente agli altri. Una certezza emerge potente: per salvarsi, bisogna lasciare tutto alle spalle. Da lì, nulla può essere salvato.